Giovedì 13 Dicembre 2012
- ore 21,15
Teatro delle Donne
"IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO"
di Matteo
Bacchini
con Daniele Bonaiuti e Silvia Frasson
E' la deposizione strampalata di un
“romanesco” manesco che illustra a un maresciallo dei
carabinieri come si trasforma un matrimonio in un
funerale, con annessa testimonianza della sposa in
quanto persona disinformata dei fatti (e di tutto il
resto).
Il fattaccio di cronaca nera resta in secondo piano -
anche e soprattutto nella coscienza dei protagonisti - e
i riflettori sono puntati sulla “ filosofia de vita “ di
due fratelli sballottati in un mondo diventato troppo
complicato da capire. Un’armata brancaleone ridotta ai
minimi termini che combatte la sua battaglia quotidiana
contro l’italiano (la lingua) e lo straniero (gli
albanesi i barboni i milanesi i napoletani i negri e il
pandoro di Verona, in ordine di apparizione).Una piccola
tragedia all’italiana che riprende dalla commedia
all’italiana il gusto di far parlare i poveri diavoli,
gli ultimi che saranno gli ultimi. E di farli parlare a
modo loro, con una lingua che dà voce ai sentimenti più
bassi (e più sinceri) del popolo italico, saltando gli
ostacoli della grammatica e del vocabolario. I Mostri
quarant’anni dopo, anche se non siamo più negli anni ‘60
e sul palco - come nel resto d’Italia - c’è poco da
ridere. Centocinquanta anni dopo Garibaldi, il ritratto
del belpaese è un frullato di ignoranza, un cocktail di
luoghi comuni, una miscela pericolosa di consumismo e
miseria. Aggiungere un bel po’ di TV e un pizzico di
scuola dell’obbligo, agitare bene e servire prima che
evapori senza lasciare traccia. O che vi esploda in
faccia.
durata 1h
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Martedì 18 Dicembre 2012
- ore 21,15
Bags Entertainment
Paolo Nani
Kristjan
Ingimarsson
in
"L'ARTE DI MORIRE
RIDENDO"
The Art of Dying
La morte si sconta ridendo. E cosi
si supera il grande tabù che tutti (o quasi tutti)
cerchiamo di ignorare ma che inevitabilmente (tutti ma
proprio tutti) dobbiamo affrontare. Ottanta minuti di
comicità e commozione senza parole, ma con tantissima
vita dentro. Paolo Nani e Kristjan Ingimarsson sono due
clown, due attori al culmine della carriera, nel bel
mezzo di una fortunata tournée. Improvvisamente uno di
loro apprende che sta per morire. Ma come si fa a
pensare alla morte di un clown per definizione destinato
alla risata, alla complicità scherzosa col suo pubblico
che vuole dimenticare e passare oltre le delusioni e i
rimpianti? Non ci sono istruzioni al riguardo. Insomma
come si fa uscire di scena dignitosamente, a togliere il
disturbo senza creare disagio e imbarazzo a chi ci
guarda e ci sta attorno? Quando non resta nulla da
perdere è il momento di godersi la fatal ”ora” come mai
si è fatto prima. Ma nel fantastico mistero della “Vita
Prima della Morte”, nulla va esattamente come dovrebbe.
Paolo e Kristjan sono le due maschere estreme del
teatro, quella che ride e quella che piange. E insieme
giocano, se la spassano, si spalleggiano e duellano fino
all’ultima risata, sera dopo sera, complici e amici, ma
anche concorrenti, sempre pronti a rubare all’altro un
applauso in più. Un sipario che scopre l’altra faccia
del teatro, il dentro e il fuori, in palcoscenico e
dietro le quinte, in un continuo scambio fra realtà e
finzione, vita vissuta e vita recitata, verso il
pubblico e ritorno. Fra continue gag e esilaranti
schermaglie, a un passo dalla leggerezza e dalla poesia,
dalla lacrima e dal sorriso.
durata 1h 20'
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Venerdì 11 Gennaio 2013
- ore 21,15
COMPAGNIA MASTRELLA-REZZA
"PITECUS"
con Antonio Rezza, Flavia Mastrella
quadri di scena di Flavia Mastrella
(mai) scritto da Antonio Rezza
assistente alla creazione Massimo Camilli
consulente tecnico Mattia Vigo
disegno luci di Maria Pastore
Provocatorio, estremo, inclassificabile.
Viaggia su binari di volta in volta tortuosi e
imprevedibili, il teatro di Antonio Rezza e Flavia
Mastrella, coppia incendiaria della nostra scena, che
coniuga con scandalosa progettualità le ragioni della
creazione artistica (in senso estetico) coi deliri della
drammaturgia (in senso narrativo). Come fosse l’ultimo
approdo di un discorso sull’assurdo, incalzato dalla
crudeltà di Artaud, Rezza e Mastrella inseguono una
teatralità fuori dagli schemi, delirante e disturbante,
costruita sui meccanismi del non sense, della gag
cinica, dell’eresia affabulatrice e della fisicità non
consolatoria, non di rado chiamando in causa l’ignaro
spettatore come “ostaggio” della messinscena. Pitecus,
un lavoro del 1995, è il loro manifesto e il loro
biglietto da visita. Un classico. Che a distanza di
tanti anni non ha perso un’oncia del suo potenziale
incendiario e provocatorio. L’universo “Rezza/Mastrella”,
è un incubo in progress, un delirio spasmodico, abitato
da strane figure, maschere primitive, fessure e
interstizi, fantasticherie e relitti esistenziali,
metamorfosi eccentriche, pulsazioni psicanalitiche,
liquide perversioni, trucchi e macchinerie, turbative
d’asta e straripanti incursioni nei meccanismi della
comicità. In altre parole, il nostro mondo quotidiano,
disturbato e sfigurato, incalzato da sublimi cattiverie
e mostri concettuali. Dove ciascuno alla fine può
cogliere la sua controfigura. Fino a confondersi e
svenire.
durata 1h
20'
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Giovedì 24 Gennaio 2013 -
ore 21,15
Associazione Culturale Spazio Zero
LIVIA
facciamo che io ero morta
tu eri un principe
mi davi un bacio e
rivivevo
regia di Silvia Paoli
con Silvia Paoli
musiche dal vivo Francesco Canavese
Silvia Paoli è attrice comica che passa
dalle pièces brillanti in costume medievale agli
spettacoli dei teatri stabili con Paolo Rossi. Livia è
il suo alter ego, tenera, poetica, un po’ sbagliata,
disarmata e disarmante. Il sottotitolo - facciamo che io
ero morta tu eri un principe mi davi un bacio e rivivevo
- sa di fanciullesco, di infantile, evoca i giochi dei
bambini, della “bella addormentata nel bosco”, delle
favole e del principe azzurro. Sempre sotto i suoi
infiniti riccioli a caduta libera, sul palco è tutte
quelle donne che tentano in ogni modo di stare al passo
con i tempi, con le ultime mode, di trovare le parole
giuste, le frasi fatte, gli abiti trendy, e che,
inevitabilmente, sono sempre in ritardo, inadeguate, in
errore, imperfette, un po’ sconfitte e frustrate. “Credo
che proprio nella normalità, nel quotidiano, si nasconda
il segreto, l’originalità e lo stupore che spesso
dimentichiamo nel nostro affannarci ad essere originali,
ad evitare la banalità. Avevo bisogno di parlare di
donne senza che la protagonista del monologo fosse una
vagina o una vedova, un’aspirante suicida o una
supereroina. Livia è una persona normale, fa la maestra
in un asilo, non è particolarmente bella né
particolarmente brutta, ha una cultura media, è una
single che aspetta il grande amore. Niente di nuovo
insomma”. Ma la sensibilità non è un difetto, semmai una
ricchezza
durata 1h
20'
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Venerdì 8 Febbraio 2013
- ore 21,15
produzione Fondazione Pontedera Teatro
"GENGE' "
da "Uno,
nessuno, centomila"
di Luigi Pirandello
drammaturgia di Roberto Bacci
e Stefano Geraci
regia di Roberto Bacci
con Savino Paparella
Francesco Puleo e Tazio Torrini
musiche di Ares Tavolazzi
Il genio pirandelliano genera
sdoppiamenti. Anzi triplicamenti. Come in questo caso.
Che di Gengè ne vediamo tre. Ci stanno tutti. Perché la
crudeltà va condivisa, il disamore è un contagio, la
complicità un bel gioco. Alla base della storia di
questo lungo, implacabile, ossessivo racconto che è Uno,
nessuno e centomila l’eterna domanda: “possiamo
scegliere di cambiare la nostra vita?”. Certo. Finendo
in manicomio e saltando nel buio accecante della follia.
L’automatismo pirandelliano è perfetto come un
avvitamento senza fine. Uno sfinimento senza incipit. Un
delirante accanimento per scoprire quello che non c’è e
inseguire l’altro che non c’è: il “fuori” di e da sè. La
prigione che ci serra non ha sbarre metalliche, ma ben
più costrittive gabbie mentali. Intelaiature che spesso
non lasciano passare neppure quell’elementare filo di
luce della speranza. Bacci, dopo L’uomo dal fiore in
bocca e La poltrona scura, torna con più agguerrita
sicurezza e magnetica agilità. Il naso cangiante di
Vitangelo Moscarda alias Gengè non dà scampo.
L’identità, semmai c’è stata, irrimediabilmente perduta.
Tra i “centomila” che potrebbe essere resta quel
“nessuno” che voleva essere “uno”. Dunque, l'unico modo
per vivere in ogni istante è vivere attimo per attimo la
vita, rinascendo continuamente in modo diverso. In altre
parole continuamente morire.
durata: 1h 5’
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Venerdì 22
Febbraio 2013 - ore 21,15
Associazione Teatro Buti
"IL CAMMINO"
di
Bernard Marie Koltes
traduzione Luca Scarlini
musica e messa in scena a cura del collettivo
assistente al collettivo Gloria Bazzocchi
con Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Silvia Garbuggino,
Gaetano Ventriglia Palco Scenico Valeria Foti, Riccardo
Gargiulo
foto di Massimo Agus
E’ il terzo Koltes di fila per Marconcini,
dopo Amleto e Coco, un altro tassello di una scrittura
teatrale traumaticamente antropologica e “fastidiosamente”
contemporanea cha ha innervato come poche altre gli ultimi
scampoli del 20simo secolo. Koltes scrive Il cammino
(nell’originale La marche) nel 1971, a 23 anni, e per la sua
originalità e audacia poetica alcune pagine brucianti
sembrano uscire dalla penna di Artaud. Koltes rivela e
anticipa quei temi aspri e enigmatici che saranno il sale
della sua drammaturgia. In scena quattro personaggi: lo
sposo, la sposa, la fidanzata, il fidanzato. Disarcionato il
contenuto squisitamente narrativo resta la trama
psicologica, il sottile gioco di interferenze che l’attore
deve stabilire col personaggio (che a sua volta resta vago,
incredulo e scivoloso): una sorta di scandaglio di uno stato
d’animo, di un universo interiore prima che appropriazione
di un ruolo, di un carattere o di una maschera. Siamo dentro
una cerimonia sacra, un viaggio mistico fra l'amore e la
morte, fra un mondo lontano perduto che appartiene alla
radura del mito, e un mondo a venire dove esiste ancora un
qualche sussulto e con “l'urlo” si afferma la propria
volontà di vivere. Un testo scolpito in un linguaggio
poetico, difficilmente “rappresentabile”, che disegna un
percorso intimo e misterioso di conoscenza e rivelazione del
proprio io. Destinato a dialogare con una insinuante
partitura musicale (Coltrane, Glass, Lennon, Bach) mentre la
scenografia definisce due percorsi paralleli, due passerelle
ai lati riservate ai fidanzati e al centro una
pedana-zattera dove i due sposi, nella loro ieratica
immobilità, scandiscono versi del Cantico dei Cantici.
durata: 1h 10’
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Venerdì 1° Marzo 2013 - ore 21,15
Teatro dell'Argine
"ATTO FINALE -
FLAUBERT"
dal romanzo
Bouvard et Pécuchet di Flaubert
regia di Mario Perrotta
assistente alla regia Alessandro Migliucci
con Mario Perrotta, Lorenzo Ansaloni, Paola Roscioli, Mario
Arcari
musiche eseguite dal vivo da Mario Arcari
Con Atto finale-Flaubert, la riscrittura del
capolavoro incompiuto di Flaubert Bouvard e Pecuchet, Mario
Perrotta ha concluso la sua Trilogia dell’individuo sociale
(2009-2011), iniziata con Il Misantropo di Molière e
continuata con I Cavalieri di Aristofane. Un progetto
composito e unico nel suo genere nel teatro italiano che gli
è valso il premio Ubu. Un progetto pensato per rispondere ad
un interrogativo: siamo per natura individualisti o animali
sociali?. Dopo lo scontro frontale di Misantropo tra
individuo e società, e dopo lo sconquasso sociale de I
Cavalieri, Perrotta si interroga con Flaubert sull’Uomo solo
di fronte a se stesso; e lo fa attraverso le grandi domande
della vita scivolate nella società post telematica. I due
protagonisti dello spettacolo, “abbandonati” da Flaubert –
che muore prima di compiere l’opera –, sono emblemi di una
profonda e ridicolissima solitudine. “I due uomini, pur
essendo in due, sono soli – spiega Perrotta –. Nella mia
riscrittura i due, impiegati parigini, si trasformano in
uomini del nostro tempo che, chiusi volontariamente in uno
spazio non meglio identificato, tentano l’impresa
impossibile: affrontare e risolvere il dolore esistenziale
che li assedia studiando e indagando il web alla ricerca di
soluzioni, in una vorticosa ascesa verso il ridicolo
involontario”. Uno spettacolo che partendo da Flaubert
attraversa la drammaturgia del Novecento per proporsi come
ideale prosecuzione di Beckett e il suo Aspettando Godot.
durata: 1h
20’
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Mercoledì 13 Marzo 2013
- ore 21,15
Arca Azzurra Teatro
"MANDRAGOLA"
di
Niccolò Machiavelli
ideazione dello spazio, adattamento e regia di Ugo
Chiti
con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali,
Massimo
Salvianti, Lucia Socci e Lorenzo Carmagnini, Giulia
Rupi, Paolo Ciotti
È considerato il capolavoro teatrale del
Cinquecento. L’autore è lo stesso fiorentino che vergò
con cinismo e durezza, nel volume del Principe, il
motto-epitaffio-massima secondo cui “il fine giustifica
i mezzi”. Ne La mandragola, sicuramente con toni più
scanzonati e leggeri, comunque si toccano temi
“politici”, primo tra tutti la corruttibilità della
società italiana. Da una parte c’è Callimaco, “amante
meschino”, innamorato di Lucrezia, “giovane molto
accorta”; dall’altra c’è Messer Nicia, il marito, uno
stolto e ricchissimo intellettuale, “dottore poco
astuto”, unica vittima della terribile beffa inscenata
alle sue spalle. I complici: il viscido servo Siro,
“parassita di malizia”, e l’amico astuto Ligurio.
Lucrezia non riesce ad aver figli e Callimaco si finge
medico per somministrarle una pianta medicinale, “la
mandragola”, che però al primo amplesso risulterà fatale
per l’amante. In mezzo, ovviamente, c’è anche la Chiesa
a benedire i sotterfugi con il personaggio di Fra’
Timoteo, “prete corrotto e avido”. Nella
rappresentazione del tradimento – da sempre lo sport
nazionale nostrano –, secondo la lezione di Machiavelli,
l’Arca Azzurra e Ugo Chiti hanno trovato un modo felice
nello stare sulla scena. È come imbattersi in parenti
lontani mai incontrati, come riconoscersi, dopo tanto
viaggiare, in una fotografia di centinaia d’anni prima.
durata: 2h